L'entropia (dal greco: ἐν "dentro" e τροπή
"trasformazione") è, in meccanica statistica, una grandezza che
misura Il disordine presente in un sistema fisico qualsiasi.
L’entropia pertanto può essere vista anche come metafora del
divenire, che per definizione è trasformazione.
La trasformazione delle cose, va, come sembra recitare il concetto di
entropia che può essere applicabile ad ogni sistema fisico, verso il disordine o
la diminuzione di valore. Esempio concreto è la vita dell’uomo che nel divenire
va verso l’indebolimento fisico fino alla morte, che è il “disordine” massimo.
A questa inevitabile situazione strutturale del mondo fisico
si contrappone in modo decisamente opposto, la metafisica ed in particolare la
realtà trascendentale proposta dalla fede, particolarmente la fede
cristiana. In questa realtà, per chi
intende la fede anche come capacità soprannaturale del conoscere, il divenire
va in una direzione ben diversa, l’annullamento dell’inevitabilità dell’entropia. La legge fisica misurata dall’entropia è
entrata nel mondo con la scelta di Adamo di essere lui l’arbitro di se stesso e
l’unico valore per definire il bene e il male.
Il testo della Genesi ci racconta questo con un linguaggio mitico. Ma con questa decisione di fare a meno di Dio
nella propria vita e nelle proprie scelte ha portato l’uomo, che non ha in se
la ragione dell’essere, verso la morte e, come sottolinea il testo biblico,
verso il disordine della natura: l’entropia di qualsiasi sistema fisico,
compreso quello dell’uomo. In soccorso
di questa scelta sbagliata che ha portato la natura dell’uomo verso il
disfacimento della morte, il maggior disordine, è intervenuto Dio con una nuova
creazione in Cristo, il primogenito di questa nuova creazione. L’uomo in nessun modo sarebbe stato in grado
di guarire la sua natura ormai compromessa per sua scelta, non avrebbe avuto
nessun mezzo per farlo, solo il Dio creatore della sua natura avrebbe potuto
farlo. Per questa ragione, Dio, “ per mezzo del quale tutto è stato fatto” (Gv.
1,3), ha assunto la natura dell’uomo in Cristo, divenendo “in tutto simile
all’uomo” (Eb. 4,15), integralmente uomo e contemporaneamente Dio. Come ha detto Benedetto XVI, Dio è un Dio
logico, ha pertanto conferito all’uomo, creato a sua immagine, la capacità
logica di conoscere le cose ordinate in modo logico e anche se la fede è una
prerogativa di conoscenza soprannaturale, ha fondamenta logiche anche se le
trascende. Pertanto, l’incarnazione di Dio in Cristo, ha una logica pur se nel
mistero, non potendo l’uomo conoscere la mente di Dio infinitamente altra.
Cristo, l’uomo perfetto della nuova creazione vince in se
stesso e contemporaneamente nella natura umana assunta nella sua integrità, la
legge dell’entropia a cui è soggetto l’essere umano. Egli, entrato nel
divenire, fa prima l’esperienza dell’esito finale, la morte, per poi
distruggere questa inevitabilità riprendendo, in un certo senso ricreando,
nella sua umanità la vita per sempre nella risurrezione del suo “vero
corpo”. Dalla morte alla vita, questo è
ormai il destino dell’uomo che, unito al Cristo vivente, è in grado di vincere
l’entropia della sua natura mortale, muovendo dalla morte verso la vita ormai
senza fine. Per questa logica, i primi
cristiani chiamavano il giorno della morte il “dies natalis”, il giorno della
nascita. Per questa ragione ancora,
Paolo descrive la vita come gestazione nel ventre del tempo in cui noi ci
prepariamo, ci formiamo, per la vita della nuova creazione, utilizzando l’immagine della creazione che “geme per le
doglie del parto” (Rom. 8,23), parto che si compirà definitivamente con la
resurrezione anche del nostro corpo, come è avvenuto in Cristo di cui abbiamo
portato l’immagine e che costituirà la definitiva distruzione del
“disordine entropico” del divenire.
Il
senso dell’andare contro corrente della formazione cristiana dell’uomo
contrapposta alla cultura senza speranza del mondo è in questa logica. Il cristiano è avvertito dell’inevitabilità
della condizione umana che se subita porterebbe verso il disordine del sistema
fisico e spirituale della sua natura e quindi capisce la logicità della
proposta che gli viene fatta di “essere perfetto come è perfetto il Padre che è
nei cieli”, perfezione che non raggiungerà mai, ma che è sia una tendenza verso
cui si volgerà e sia la perfezione
possibile che gli prospetta il Cristo, vincitore dell’entropia della natura
umana. In Cristo si realizzerà la perfezione
antropologica massima possibile e inimmaginabile, avendo Egli mescolato la sua
natura divina con la nostra natura umana, ci eleverà fino alla realtà stessa di
Dio: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa
sola” (Gv. 17, 21), ora figli del Dio creatore, “divinizzati” come dice la
liturgia bizantina, e “lo siamo realmente” precisa Giovanni nella sua prima
lettera.
Enrico Pierosara
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