lunedì 18 novembre 2019

“AL DIO IGNOTO” (Att. 17, 23)


Arrivato ad Atene dopo burrascose peripezie apostoliche nell’Ellade, l’apostolo Paolo intravede in un tempio della città, un’ara sacrificale con questa dedica “Ἀγνώστῳ θεῷ”, “Al dio ignoto”.   Il fatto ci viene riferito dagli Atti degli Apostoli nella narrazione del ministero di Paolo di Tarso in Grecia. La cultualità pagana dava personalità divina a tantissime espressioni della natura e dell’indole umana, affidando ad ognuna nome, genealogia, influenza sugli umani. Nel timore di dimenticare di onorare qualche nume del pantheon olimpico, avevano pensato bene di erigere un altare anche a questo dio sconosciuto.   Paolo approfitta della propensione degli ateniesi per la dialettica e per le dispute sui più svariati argomenti, intervenendo nell’Areopago della città, per dare al dio sconosciuto il volto del Dio unico di Israele che si era reso visibile in Cristo.  Gli Atti del Apostoli ci hanno trasmesso una splendida descrizione di questo episodio e del discorso di Paolo al capitolo 17, a partire dal versetto 22. Sembra una pagina di oggi. Lo scetticismo supponente degli ateniesi che si credevano portatori della cultura in una Europa di barbari non è dissimile dall’alterigia dell’uomo moderno convinto di possedere le chiavi del sapere universale con cui risolvere adesso o in futuro tutti i problemi.  La scienza creduta falsamente onnipotente è l’idolo tra i più venerati oggi, insieme al denaro, al potere, al piacere, al successo.  Questo è il pantheon di oggi, ma tra i templi moderni in cui questi idoli ricevono il loro specifico culto manca l’ara al “dio ignoto”, perché l’uomo di oggi, almeno apparentemente e nella generalità, non sente la necessità di cercare qualcosa fuori di se, essendo convinto di essere la misura del bene e del male e di poter appagare le proprie aspirazioni con quanto potrà ottenere dai propri idoli.  L’uomo pagano, a modo suo aveva una qualche religiosità, intuiva una realtà che lo trascendeva, anche se in modo confuso, Paolo stesso lo riconosce dichiarando: “vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi”.  Gran parte degli uomini di oggi, almeno nelle nostre società occidentali e nella vita pubblica, non hanno più la nozione del divino con cui confrontarsi,  con cui dare un senso al proprio esistere, al dolore, alla vita e alla morte. Sono agnostici (ἀ "senza" e γνῶσις “conoscenza”) in rapporto a Dio e alla relazione tra l’assoluto e l’umano. La nostra società non nega Dio e né lo combatte, ma lo ignora, non lo conosce e non ha interesse a conoscerlo. Forse non è del tutto così.  Tra la confusione provocata da una società che tende a stordire l’uomo, a non farlo riflettere, tra il bombardamento di informazioni, concezioni relativiste dell’esistenza, pensieri indotti dal “politically correct”, quasi certamente all’interno di ogni persona è possibile scorgere una piccola ara al “Dio Ignoto”, questa volta con le lettere maiuscole.  Anche il più distratto tra gli uomini non può non chiedersi che senso abbia la sua vita, che ne sarà di lui dopo la morte; scomparirà come gli dice il sentire contemporaneo?  Il  mondo che gli sta intorno non è in grado di dargli queste risposte. Il mondo con i suoi nuovi idoli è agnostico, cioè è “senza conoscenza” di queste realtà che sgorgano dal più profondo dell’essere umano.  Ma il Dio Ignoto ha costruito un altare all’interno di ogni uomo, una traccia di se, quasi una mappa per farsi trovare.  Nella mappatura del genoma umano è stato individuato un gene che orienta la mente verso l’infinito, verso realtà che trascendono la propria fisicità. Ognuno di noi infatti, anche senza accorgersene tende all’infinito: cerca un amore infinito, una giovinezza che non finisca mai, una bellezza assoluta, una giustizia sicura, una vita che non termini.  Ecco l’altare al Dio Ignoto costruito dallo stesso Creatore, perché tutte queste cose sono Lui, affinché l’uomo possa raggiungerlo e dargli il culto d’amore che darà il vero senso alla propria esistenza.  Paolo ha detto agli ateniesi che quanto il Creatore ha messo nel cuore dell’uomo è “perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi”. Concludendo, che “In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, ….poiché noi siamo stirpe di Lui”. 
Enrico Pierosara

mercoledì 6 novembre 2019

RIFLESSIONI TEOLOGICHE SU UN SISTEMA FISICO

L'entropia (dal greco: ἐν "dentro" e τροπή "trasformazione") è, in meccanica statistica, una grandezza che misura Il disordine presente in un sistema fisico qualsiasi.

L’entropia pertanto può essere vista anche come metafora del divenire, che per definizione è trasformazione.  La trasformazione delle cose, va, come sembra recitare il concetto di entropia che può essere applicabile ad ogni sistema fisico, verso il disordine o la diminuzione di valore. Esempio concreto è la vita dell’uomo che nel divenire va verso l’indebolimento fisico fino alla morte, che è il “disordine” massimo.

A questa inevitabile situazione strutturale del mondo fisico si contrappone in modo decisamente opposto, la metafisica ed in particolare la realtà trascendentale proposta dalla fede, particolarmente la fede cristiana.  In questa realtà, per chi intende la fede anche come capacità soprannaturale del conoscere, il divenire va in una direzione ben diversa, l’annullamento dell’inevitabilità dell’entropia.  La legge fisica misurata dall’entropia è entrata nel mondo con la scelta di Adamo di essere lui l’arbitro di se stesso e l’unico valore per definire il bene e il male.  Il testo della Genesi ci racconta questo con un linguaggio mitico.  Ma con questa decisione di fare a meno di Dio nella propria vita e nelle proprie scelte ha portato l’uomo, che non ha in se la ragione dell’essere, verso la morte e, come sottolinea il testo biblico, verso il disordine della natura: l’entropia di qualsiasi sistema fisico, compreso quello dell’uomo.    In soccorso di questa scelta sbagliata che ha portato la natura dell’uomo verso il disfacimento della morte, il maggior disordine, è intervenuto Dio con una nuova creazione in Cristo, il primogenito di questa nuova creazione.  L’uomo in nessun modo sarebbe stato in grado di guarire la sua natura ormai compromessa per sua scelta, non avrebbe avuto nessun mezzo per farlo, solo il Dio creatore della sua natura avrebbe potuto farlo. Per questa ragione, Dio, “ per mezzo del quale tutto è stato fatto” (Gv. 1,3), ha assunto la natura dell’uomo in Cristo, divenendo “in tutto simile all’uomo” (Eb. 4,15), integralmente uomo e contemporaneamente Dio.  Come ha detto Benedetto XVI, Dio è un Dio logico, ha pertanto conferito all’uomo, creato a sua immagine, la capacità logica di conoscere le cose ordinate in modo logico e anche se la fede è una prerogativa di conoscenza soprannaturale, ha fondamenta logiche anche se le trascende. Pertanto, l’incarnazione di Dio in Cristo, ha una logica pur se nel mistero, non potendo l’uomo conoscere la mente di Dio infinitamente altra.

Cristo, l’uomo perfetto della nuova creazione vince in se stesso e contemporaneamente nella natura umana assunta nella sua integrità, la legge dell’entropia a cui è soggetto l’essere umano. Egli, entrato nel divenire, fa prima l’esperienza dell’esito finale, la morte, per poi distruggere questa inevitabilità riprendendo, in un certo senso ricreando, nella sua umanità la vita per sempre nella risurrezione del suo “vero corpo”.  Dalla morte alla vita, questo è ormai il destino dell’uomo che, unito al Cristo vivente, è in grado di vincere l’entropia della sua natura mortale, muovendo dalla morte verso la vita ormai senza fine.  Per questa logica, i primi cristiani chiamavano il giorno della morte il “dies natalis”, il giorno della nascita.  Per questa ragione ancora, Paolo descrive la vita come gestazione nel ventre del tempo in cui noi ci prepariamo, ci formiamo, per la vita della nuova creazione, utilizzando  l’immagine della creazione che “geme per le doglie del parto” (Rom. 8,23), parto che si compirà definitivamente con la resurrezione anche del nostro corpo, come è avvenuto in Cristo di cui abbiamo portato l’immagine e che costituirà la definitiva distruzione del “disordine entropico” del divenire. 

 Il senso dell’andare contro corrente della formazione cristiana dell’uomo contrapposta alla cultura senza speranza del mondo è in questa logica.  Il cristiano è avvertito dell’inevitabilità della condizione umana che se subita porterebbe verso il disordine del sistema fisico e spirituale della sua natura e quindi capisce la logicità della proposta che gli viene fatta di “essere perfetto come è perfetto il Padre che è nei cieli”, perfezione che non raggiungerà mai, ma che è sia una tendenza verso cui si volgerà  e sia la perfezione possibile che gli prospetta il Cristo, vincitore dell’entropia della natura umana.  In Cristo si realizzerà la perfezione antropologica massima possibile e inimmaginabile, avendo Egli mescolato la sua natura divina con la nostra natura umana, ci eleverà fino alla realtà stessa di Dio: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola” (Gv. 17, 21), ora figli del Dio creatore, “divinizzati” come dice la liturgia bizantina, e “lo siamo realmente” precisa Giovanni nella sua prima lettera.
      
                                                                                                        Enrico Pierosara

SIGNIFICATION DE LA PRIÈRE “IN NOMINE PATRIS ET FILII ET SPIRITUS SANCTI”


Plusieurs personnes qui visitent mon site de prière et de réflexion http://plerosariaantiqua.freeservers.com , me demandent  qu'est-ce que signifie le titre du site 
“IN NOMINE PATRIS ET FILII ET SPIRITUS SANCTI”
                                                                                                                                                     
“In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti” sont des mots latins qui en français signifient  “Au nom du Père et du Fils et du Saint-Esprit.” 

Il s’agit d’une formule très ancienne de prière qui exprime deux vérités fondamentales de la foi chrétienne: avec les mots, nous proclamons l'Unité et la Trinité de Dieu: donc Dieu est un  (Deutéronome VI, 4), mais Il nous a révélé, à travers le Christ que Il (le Dieu unique) est Dieu Père Créateur, Dieu Fils Sauveur, Dieu Saint-Esprit qui sanctifie;  c'est un Mystère de la Foi parce que notre intelligence humaine limitée ne peut pas comprendre la nature de Dieu si Il ne nous le révèle. 

 En  disant les mots de cette prière, nous faisons une croix sur notre personne (cette prière est aussi connue comme “Signe de la croix”) signifiant que  Dieu a uni Sa nature divine avec notre nature humaine en Jésus Christ, “Dieu avec nous”, Il est mort pour nous sur la croix et il est ressuscite  de la mort. 

La résurrection du Christ de la mort est extrêmement importante pour la foi chrétienne parce que elle est preuve de la divinité du Christ, de la certitude de sa révélation, de la victoire sur la mort et en outre espérance de notre même résurrection et de notre vie éternelle. 

 Avec cette simple prière, le “Signe de la croix”, nous commençons chacune de nos actions comme travailler, manger, dormir, nous réveiller….….. cela veut dire que nous faisons chacune de nos actions au nom de Dieu (Dieu Père, Fils et Saint-Esprit), donc toutes nos actions deviennent prière, adoration, amour et action de grâce à Dieu.
                                                                                                                                                                                                                                              Enrico Pierosara

MEANING OF THE PRAYER “IN NOMINE PATRIS ET FILII ET SPIRITUS SANCTI”


Many people visiting my prayer and reflection site http://plerosariaantiqua.freeservers.com, was asking me about the meaning of the title “IN NOMINE PATRIS ET FILII ET SPIRITUS SANCTI”
                                                                                                                                                                                                                                            “In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti” are Latin words that mean in English “In the name of Father and of Son and of Holy Spirit.”.

It’s a very ancient prayer formula expressing two basic Christian faith truths: with the words, we proclaim the Unity and the Trinity of God: so God is one  (Deuteronomy VI, 4), but He has revealed to us, through the Christ , that He (the unique God) is Father God Creator, Son God Saviour, Holy Spirit God sanctifying;  this is a Faith Mystery because our limited human mind can’t understand the God nature if He doesn’t reveal it to us.   

 Saying this prayer words, we make a cross  on our person (this prayer is also knowing as “Sign of the cross") meaning God has united His divine nature with our human nature in Jesus Christ, “God with us”, He is dead for us on the cross and he is risen from the death.

The Christ resurrection from the death is extremely important for the Christian faith because it is proof of the Christ divinity, of the certainty of his revelation, of the victory on the death and moreover hope of our resurrection and our eternal life.

 With this simple prayer, the “Sign of the cross", we begin any our action as to work, to eat, to sleep, to wake up….…..it means we made anything in the name of God (God Father, Son and Holy Spirit), so any our action becomes prayer, adoration, love and thanks to God.
                                                                                                                                                                                                                                                    Enrico Pierosara

DIO È AMORE + GOD IS LOVE + DIEU EST AMOUR
(1 Joannes 4, 16)


"Dio è Giovinezza, Bellezza, Amore e Verità" + "God is Youth, Beauty, Love and Truth"  + "Dieu est Jeunesse, Beauté, Amour et Verité" + “Dios es Juventud, Belleza, Amor y Verdad" + " Deus é Juventude,  Beleza, Amor e Verdade " + " Gott ist Jugend,  Schönheit, Liebe und Wahrheit"     (Joannes Paulus II)
 
"Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete;  mi toccasti e arsi di desiderio della tua pace” (X, 27.38)
 Confessioni di Sant’Agostino.


“Late have I loved you, O Beauty ever ancient, ever new, late have I loved you! You were within me, but I was outside, and it was there that I searched for you. In my unloveliness I plunged into the lovely things which you created. You were with me, but I was not with you. Created things kept me from you; yet if they had not been in you they would have not been at all. You called, you shouted, and you broke through my deafness. You flashed, you shone, and you dispelled my blindness. You breathed your fragrance on me; I drew in breath and now I pant for you. I have tasted you, now I hunger and thirst for more. You touched me, and I burned for your peace.” (X, 27.38).  
 Confessions, Saint Augustine


« Bien tard je t'ai aimée, ô beauté si ancienne et si nouvelle, bien tard je t'ai aimée! Et voici que tu étais au-dedans, et moi au-dehors. C’est là que je te cherchais. Tout disgracieux, je me ruais sur tes gracieuses créatures. Tu étais avec moi et je n’étais pas avec toi. Loin de toi, elles me retenaient, elles qui ne seraient, si elles n’étaient en toi. Tu m’appelas, crias, rompis ma surdité. Tu brillas, et ta splendeur a ôté ma cécité ; tu répandis ton parfum, je respirai, je soupirai, je t’ai goûté, et j’eus faim et soif; tu m’as touché, et je brûlai du désir de ta paix » (X, 27.38). Confessions, saint Augustin


«Tarde te amé, Hermosura tan antigua y tan nueva, tarde te amé! Y tú estabas dentro de mí y yo afuera, y así por fuera te buscaba; y, deforme como era, me lanzaba sobre estas cosas hermosas que tú creaste. Tú estabas conmigo, más yo no estaba contigo. Reteníanme lejos de ti aquellas cosas que, si no estuviesen en ti, no existirían. Me llamaste y clamaste, y quebrantaste mi sordera; brillaste y resplandeciste, y curaste mi ceguera; exhalaste tu perfume, y lo aspiré, y ahora te anhelo; gusté de ti, y ahora siento hambre y sed de ti; me tocaste, y deseé con ansia la paz que procede de ti» (X, 27,38).  Confesiones, san Agustín


  «Tarde Vos amei, ó beleza tão antiga e tão nova, tarde Vos amei! Vós estáveis dentro de mim, mas eu estava fora, e fora de mim Vos procurava; com o meu espírito deformado, precipitava-me sobre as coisas formosas que criastes. Estáveis comigo e eu não estava convosco. Retinha-me longe de Vós aquilo que não existiria, se não existisse em Vós. Chamastes-me, clamastes e rompestes a minha surdez. Brilhastes, resplandecestes e dissipastes a minha cegueira. Exalastes sobre mim o vosso perfume: aspirei-o profundamente, e agora suspiro por Vós. Saboreei-Vos e agora tenho fome e sede de Vós. Tocastes-me e agora desejo ardentemente a vossa paz» (Confissões,  Santo Agostinho X, 27-38)

 “         Spät habe ich dich geliebt, du Schönheit, so alt und doch so neu, spät habe ich dich geliebt. Siehe, du warst in meinem Innern, und ich war draußen und suchte dich dort. Ich stürzte mich, häßlich wie ich war, auf diese schönen Dinge, die du geschaffen hast. Du warst bei mir, aber ich nicht bei dir. Die Dinge hielten mich fern von dir. Und sie wären doch nicht, wären sie nicht in dir. Du riefst, du schriest, und da durchbrachst du meine Taubheit. Du strahltest auf, du leuchtetest und vertriebst meine Blindheit. Duft ging von dir aus, ich zog den Hauch ein, und nun verlangte ich nach dir. Ich habe gekostet, und nun hungere und dürste ich. Du hast mich angerührt, und ich entbrannte nach deinem Frieden“ 
(Bekenntnisse   Hl. Augustinus X, 27,38)


Późno Cię pokochałem. Piękności tak dawna a tak nowa, późno Cię pokochałem! A oto Ty byłaś wewnątrz, a ja byłem zewnątrz, tam Cię szukałem i lgnąłem w mej brzydocie ku pięknym rzeczom stworzonym przez Ciebie. Byłaś ze mną, a ja nie byłem z Tobą. Z dala od Ciebie trzymały mnie te rzeczy, które nie istniałyby, gdyby nie były w Tobie. Zawołałaś, wezwałaś - i przerwałaś moją głuchotę, zabłysnęłaś, zajaśniałaś i usunęłaś moją ślepotę; rozlałaś woń, odetchnąłem nią i oto wzdycham ku Tobie, skosztowałem i oto łaknę i pragnę, dotknęłaś mnie i zapłonąłem tęsknotą za Twoim pokojem” (X, 27.38).   Wyznań św. Augustyn